C’è un concetto sempre in voga nelle scuole di scrittura e tra gli insegnanti di scrittura creativa: la struttura a tre atti. Si tratta di un concetto che presuppone una visione pratica della scrittura, una visione che prevede l’utilizzo di schemi e regole per raggiungere il proprio obiettivo. L’obiettivo è la creazione di una storia che funzioni, a prescindere dalla qualità. Dunque, si parte da un approccio tecnico, industriale della scrittura, un approccio molto seguito dagli sceneggiatori, di meno dagli scrittori. Un esempio calzante è il difficile rapporto con il cinema dello scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) nei suoi ultimi anni di vita. Fitzgerald, pressato da difficoltà economiche, accettò di lavorare come sceneggiatore a Hollywood: guadagnò poco e vide il suo talento sminuito dalla grande industria del cinema.
Che cos’è la struttura a tre atti
La struttura a tre atti è un modello o schema che si può applicare quando si vuole scrivere una storia. Lo schema prevede che la storia venga divisa in tre parti, ognuna delle quali con una lunghezza e una funzione precisa.
Questo schema, come possiamo immaginare, deriva dal teatro. Viene utilizzato molto nel cinema, spesso anche in modo troppo rigido. Al contrario, gli scrittori lo utilizzano di meno e con maggiori margini di libertà.
Pur trovando minore incidenza in narrativa, la struttura a tre atti viene insegnata nelle scuole di scrittura. Ci è difficile immaginare che un capolavoro letterario sia stato creato o si possa creare in base a questo schema. Tuttavia lo schema aiuta a sviluppare una storia con facilità, per questo è adatto a chi muove i primi passi nel campo della scrittura o a chi vuole scrivere senza particolari pretese estetiche. Aggiungiamo che la cosiddetta scrittura di genere, come ad esempio il giallo o l’horror, si adatta meglio a questo tipo di struttura perché questa facilita il raggiungimento di determinati effetti (nel giallo la risoluzione del caso, nell’horror la paura).
Primo atto
Il primo atto è l’inizio della storia. Il protagonista viene presentato nel suo mondo, cioè nel suo ambiente, nel mezzo della sua quotidianità, insieme ad altri personaggi che sono secondari o semplici comparse.
Lo scopo di questo atto è quello di rappresentare un mondo e alcuni suoi abitanti/personaggi tra i quali c’è, appunto, il protagonista. Il passaggio dal primo al secondo atto è prodotto attraverso un evento scatenante, un incidente, un fatto che mina la quotidianità del protagonista e lo costringe a fare scelte o compiere azioni. Il protagonista è costretto a rinunciare alla statica condizione di partenza e a muoversi, a iniziare quella che lo sceneggiatore Chris Vogler definisce “viaggio dell’eroe”.
Questo atto è breve, il cinema prevede duri fino a una ventina di minuti.
Secondo atto
Il secondo atto è il corpo della storia. Il protagonista affronta uno o più situazioni che lo aiutano a “crescere”, cioè ne forgiano il carattere e lo trasformano.
Lo story editor Gino Ventriglia parla di “difficoltà del Secondo Atto” e lo fa in questi termini:
“[…] per chi narra, la necessità è di costruire via via scenari diversi che facciano propendere il lettore (o lo spettatore) volta per volta per una delle diverse soluzioni possibili.”
(AA. VV., FAQ Domande e risposte sulla narrazione, a cura della redazione Holden Maps, Milano, Scuola Holden BUR Rizzoli, 2004, p. 134.)
Il lettore/spettatore deve quindi restare in tensione, nel frattempo prova a ipotizzare il finale della storia cui ci si avvicina, cioè la soluzione del conflitto che sta affrontando il protagonista.
Questo secondo atto è la parte più lunga del film e del libro. Data la lunghezza, lo scrittore/sceneggiatore deve essere abile a non abbassare mai la tensione, a non annoiare il lettore/spettatore.
Terzo atto
Giunti a questo punto, c’è una svolta. Accade qualcosa che incanala la storia verso il finale, e il lettore/spettatore se ne accorge. La tensione cresce, ma il protagonista è ormai vicino alla risoluzione del conflitto.
Il terzo atto è il più breve dei tre: è la preparazione e la rappresentazione del finale.
In questa parte della storia l’autore deve raccogliere al meglio tutto quanto ha precedentemente seminato. Il finale, infatti, non giunge all’improvviso, ma avviene come per logica conseguenza degli eventi che lo precedono. L’autore della storia dal principio ha seminato indiziche non balzano all’occhio del lettore/spettatore. È nel finale che ci si accorge del piano generale, che si conferisce un senso ben preciso a elementi che si erano sottovalutati.
Nel terzo atto il conflitto del protagonista viene risolto, ma anche gli altri personaggi completano la loro evoluzione. La storia, infatti, spesso contiene altre storie, i “subplot”, che riguardano i personaggi secondari. Anche questi subplot, a loro volta, sono strutturati secondo lo schema a tre atti.