L’appuntamento iraniano di Simone de Beauvoir, di Chahla Chafiq : note di lettura

Mikaela Honung Tradotto da  Silvana Fioresi

Il « Secondo sesso» ha 70 anni, oserei dire, e se ne parla sempre, perché niente è scontato, anzi. Avevo appena saputo tramite France Culture che, mentre si legge Sartre solo per ragioni « alimentari » (scolastiche o universitarie), Beauvoir, invece, si continua a vendere, quando Tlaxcala mi ha chiesto di parlare dell’Appuntamento iraniano di Simone de Beauvoir, della sociologa e scrittrice femminista iraniana Chahla Chafiq (eccellente francofona).Questo saggio mi ha fatto scoprire un certo numero di cose, grandi o piccole, che hanno accompagnato l’accesso al potere dell’ayatollah Khomeiny. Per esempio, che la signora Ministro dell’educazione e della cultura poteva confondere Simone de Beauvoir con Simon Bolivar. Certamente un semplice errore imputabile alla loro paronimia, ma sono comunque due grandi figure ben distinte. È forse perché Beauvoir, la femminista, minaccia i totalitarismi più dei grandi rivoluzionari? Una compiacenza, certo leggera, verso lo Shah Pahlavi, rivelatosi dittatore e aguzzino, mi disturba un poco. Ma alla lettura di Persépolis, di Marjane Satrapi, bisogna sottolineare le convergenze tra queste due autrici: le classi medie, di cui la loro componente femminile, beneficiavano di maggiori libertà sotto lo Shah che dopo – le donne in generale ne avevano ottenute di importanti a quell’epoca. A condizione, certo, di non essere «comuniste» o avendo / militando per altre ideologie anticapitaliste. E’ BP e non un mussulmano convinto ad aver lottato contro Mossadegh, colpevole di aver difeso la proprietà nazionale del petrolio iraniano. Per quanto riguarda gli strati popolari, anche loro non stavano male sotto lo shah, anzi, le donne stavano anche meglio, se si vuol credere Chahla Chafiq. Le contadine, lei dice secondo l’iranologo Henri Massé, non utilizzavano più il chador, cosa che facilitava il lavoro nei campi (mi sembra evidente). E sembrerebbe che il rifiuto del chador, imposto d’ufficio dall’imam, abbia incontrato una forte resistenza. Questo fatto getta una luce… luminosa sul dibattito franco-francese sul velo, anche se le femministe iraniane erano «occidentalizzate» (da parte mia non invoco un divieto, d’altr’onde inapplicabile, negli spazi pubblici, ma detesto questa sinistra che pretende che si tratti di una pratica religiosa, accettabile in uno Stato laico. Questa pratica è culturale, e no, tutte le culture non la avvalorano, e sì, tutte le grandi ideologie religiose sono patriarcali, e i monoteismi vi giocano un ruolo di primo piano). Questa attitudine purtroppo trova un’eclatante conferma con la recente condanna di Nasrin Sotoudeh, avvocatessa e militante dei diritti umani, condannata tra l’altro per aver difeso una donna colpevole di aver tolto il suo velo. Sotto Rohani, ritenuto « moderato ».

Tuttavia Chahla Chafiq denuncia con grande pertinenza l’attitudine dello Shah : avendo vietato ogni opposizione politica, credette di potersi appoggiare – per combattere la sinistra – sui religiosi « moderati », cosicché fini’ per rendere i luoghi di culto i soli luoghi dove si potesse contestare lo Shah dando cosi’ la parola a dei mussulmani molto conservatori.Il contesto che regnava dopo l’accesso di Khomeiny al potere fece si’ che Simone de Beauvoir, pur sostenendo la lotta delle femministe iraniane, non si reco’ in Iran, da dove Kate Millett era appena stata espulsa.

Ma sorprendentemente, quello che mi colpisce di più in questo saggio è la similitudine tra la repressione verso le donne avversarie del velo nel 1979 in Iran e quello che avviene in questo momento in Francia contro i «gilet gialli». Repressione della polizia (cosi’ violenta da avverarsi utile), e propaganda mendace in entrambi i casi, nei due casi tentativo di divisione tra buoni e cattivi contestatari: nel caso iraniano, creazione delle “Donne per la rivoluzione islamica”, supposte sostenere la “buona” rivoluzione islamica; in questo momento in Francia, distinzione tra i “buoni” gilet gialli, che “accettano il dialogo” e gli altri. Cosa che ha, comunque, fallito, ma che tenta di continuare sotto forma del «grande dibattito», della stigmatizzazione dei «vandali» ecc. E, nei due casi, la stessa attitudine del potere: venite, pecorelle smarrite, che vi spiego come si manifesta in modo “progressista”… . Ad ogni modo: leggete quest’opera, vi servirà come spunto di riflessione su diversi punti – e forse, lo spero, vi convincerà che nessuna gerarchizzazione arbitraria (non rifiuto quelle delle competenze) non puo’ andare di pari passo con il rispetto dei diritti di tutti, e che accordare senza nessun motivo dei diritti preferenziali ad un gruppo, soprattutto in base a criteri come il sesso o la razza, significa toglierne ad altri.

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