Due testi raccontano, dal generale al particolare, le origini del popolo curdo e la sua attualità. Ricostruzione storica e politica e lotta quotidiana di un’entità simbolo del colonialismo: “Curdi” e “Il fiore del deserto”.
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 9 febbraio 2019, Nena News – Dal generale al particolare, dalle origini di un popolo alla sua quotidianità. È il percorso che due testi permettono di compiere all’interno di quella entità – mai statuale, ma radicata nella storia e la terra – chiamata Kurdistan.
Due libri di recente pubblicazione che compiono un viaggio dovuto, nel mare magnum della saggistica oggi dedicata a un tema attuale da due millenni eppure costantemente tradito dalle contingenze e le narrazioni deviate: Curdi, a cura di Antonella De Biasi con contributi di Giovanni Caputo, Kamal Chomani e Nicola Pedde (Rosenberg&Sellier, pp. 216, euro 14); e Il fiore del deserto di Davide Grasso (Agenzia X, pp. 352, euro 16).
Sull’esistenza stessa di qualcosa chiamato Kurdistan si sofferma il primo libro. Sviscera, attraverso la ricostruzione storica e politica, la natura stessa e intrinseca di un popolo che è stato ed è modello del sistema coloniale e neocoloniale. Un sistema antico quanto antica è la civilizzazione della Mesopotamia. È intorno ai due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, grembo primordiale della civiltà asiatica ed europea, che il popolo curdo – come quelli arabo, persiano, turco – è cresciuto con il suo bagaglio culturale, sociale e politico unico. Un’unicità tuttora presente che, intrecciandosi alla negazione strutturale della statualità, ha portato alla necessaria teorizzazione (e messa in pratica) del concetto di autonomia.
Curdi è un interessante punto di partenza nella disamina della «questione» Kurdistan. Gli autori ripercorrono la millenaria storia del popolo curdo, ne raccontano le divisioni pregresse, la struttura clanica e patriarcale, il naturale intreccio con gli interessi dei potentati di ogni epoca, fino all’attualità più stringente. Lo fanno dividendo il volume secondo lo schema coloniale figlio della Prima guerra mondiale e della suddivisione artificiosa del Medio Oriente, con i capitoli dedicati agli Stati che da cent’anni si spartiscono l’entità kurda: Turchia, Siria, Iran e Iraq.
I quattro autori ripercorrono l’ultimo secolo ricostruendo tassello per tassello le ragioni dell’oggi, prodotto delle politiche di potenza tanto quanto delle ideologie dei partiti e dei movimenti curdi che compongono l’attuale panorama.
Dal generale al particolare, il percorso si completa con il secondo testo, Il fiore del deserto. A metà tra il reportage e l’analisi politica, Davide Grasso, ex combattente delle unità di difesa popolare Ypg a Rojava, conduce il lettore dentro la rivoluzione in corso e in fieri della Federazione della Siria del nord.
Pluralismo, ecologismo, femminismo, multiculturalismo, democrazia popolare di base, autogoverno: le parole chiave di un progetto, quello del confederalismo democratico, che non manca di ovvie contraddizioni e di ostacoli ma che continua a produrre cambiamento.
L’autore, che ha vissuto a lungo nella regione di Rojava, ricostruisce la rivoluzione narrandone le strutture (dalle cooperative alle comuni agricole, dalle case delle donne alle unità di difesa) e facendo parlare i suoi protagonisti, un crogiuolo di volti, etnie, confessioni, provenienze che nell’incontro – e lo scontro – educano se stessi e la più vasta comunità in vista della costruzione di una società nuova, di un’umanità nuova.
In tale contesto il Kurdistan quale entità geografica e identitaria viene superato da una battaglia politica (che si fa tangibile vita quotidiana) allergica al concetto di confine, separazione, distinzione. Una rivoluzione per l’intera famiglia umana è il grande e destabilizzante sogno coltivato tra i villaggi e gli uliveti della Siria del nord, costantemente sott’attacco degli attori che Grasso elenca e studia, dagli Stati nazione regionali alle potenze globali fino al capitalismo moderno e ai fondamentalismi di ogni natura.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati