Primo giorno di lavoro in una piccola ma potente azienda metalmeccanica. Premettendo che non avevo neanche vagamente idea di cosa fosse una macchina utensile a controllo numerico. Mi allungano un catalogo italiano-inglese da studiare. Lo sfoglio tutto (poche pagine per fortuna), mi cade l’occhio sulle due parole “run” e “race” in seconda pagina. Mmmh, mah. Ok. Cerco su un sito di traduttori l’espressione “corsa dei punzoni”, ovviamente non c’è traccia né di “run” né di “race” perché il termine è “stroke”. Controllo su altri siti per essere sicura al 100%, “stroke” è la mia parola. Mi faccio la nota sul catalogo e vado avanti.
Pur nella mia ignoranza tecnica il radar linguistico si accende ed individua vari sfondoni: lessicali, ortografici, italianismi. Di tutto un po’. Nel rispetto del lavoro che ha fatto un’altra persona, misurando le parole e in parte minimizzando, faccio presente al mio referente la questione.
“Ah sì? Davvero? Ne abbiamo fatti stampare da poco 3000”. Gulp, ops, cielo! Quei cataloghi sono durati an-ni.
Nei giorni a seguire incontro macchine neonate (newborn) e macchine che invecchiano (aging). Insomma. Metto pezze.
Sottolineo al titolare che se mi fa tradurre il manuale di programmazione di una macchina dall’italiano all’inglese non si ottiene un prodotto neanche vagamente decente tecnicamente, un compito del genere non si può chiedere ad un traduttore. Parole al vento.
Per anni a malincuore, consapevole della battaglia persa in partenza, ho tradotto manuali dall’italiano all’inglese, tedesco, spagnolo e francese. Con mio sommo orrore ed impegno. È stata una sfida, mi ha insegnato molto a prescindere, sono arrivata a crearmi un glossario multilingue di 980 entrate in italiano. Ho dovuto lottare contro tempi stretti (mi occupavo del backoffice commerciale estero oltre che delle traduzioni), contro spiegazioni tecniche approssimative e vagamente reticenti – “cos’è? Vuoi diventare un elettricista?” – per esempio.
Mi pento e mi dolgo dei manuali che sono arrivati ai quattro angoli della Terra per mano mia. Gli ultimi clienti sono stati più fortunati dei primi, in cinque anni ho imparato molto, come vorrei rileggere le prime traduzioni!
Non sono stata professionale pur volendolo in un mondo che di linguistica e traduzione non capisce neanche l’ABC. Potrei scrivere centinaia di buoni aneddoti linguistici, la raccolta si chiamerebbe “S.O.S. Battaglie di una linguista in azienda – come sopravvivere con la dignità quasi intatta”. Spero che qualche datore di lavoro legga e si illumini.
L’autrice dell’articolo ci ha chiesto di restare anonima