Uno dei generi del romanzo di maggiore successo commerciale è il romanzo rosa.
Il romanzo rosa ci è noto, qui in Italia, nelle edizioni Harmony reperibili nelle edicole a prezzi modici. In realtà si tratta di un genere dalla tradizione molto meno recente di quanto immaginiamo: possiamo risalire all’Ottocento.
Il rosa ha ampia diffusione in tutto il mondo. Qui di seguito ci proponiamo di definirlo e di descriverne le caratteristiche più importanti.
Il testo di riferimento: “La letteratura rosa” di Eugenia Roccella
Questo viaggio nel genere rosa ci sarà facilitato da un testo-guida di agevole lettura: La letteratura rosa di Eugenia Roccella (1953), giornalista e politica. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Editori Riuniti nel 1998. L’autrice ha trattato i generi rosa e poliziesco per la Rai.
Ne La letteratura rosa, Roccella tratta il genere rosa in relazione al mutamento sociale del ruolo femminile, al cambiamento di bisogni e desideri della donna. La donna, infatti, è il principale consumatore di questo prodotto editoriale. Al contempo, Roccella delinea il percorso storico del genere, dall’Ottocento alla contemporaneità, e si sofferma sulle maggiori autrici. A scrivere romanzi rosa, infatti, sono per lo più donne, salvo rare eccezioni.
Perché si chiama “romanzo rosa”
Abbiamo visto, trattando del genere noir, che il “giallo” – genere diverso dal noir – deve la sua denominazione al colore a esso collegato. Le copertine della prima collana “I Libri Gialli” della casa editrice Mondadori datata 1929, infatti, avevano lo sfondo giallo.
Per il “romanzo rosa”, invece, la situazione è diversa. Non si conosce il motivo di questa denominazione, si può solo operare una semplice ipotesi: il rosa è il colore del femminile, in contrapposizione al maschile.
Prima del rosa: il “romanzo sentimentale” tra il Settecento e l’Ottocento
Prima della nascita e della diffusione del “romanzo rosa” c’era un genere di romanzo diverso ma, per certi aspetti, vicino a esso: il “romanzo sentimentale”. Si tratta di un genere di difficile definizione in quanto include autori eterogenei e più o meno complessi per stile e tematica. Si va da Samuel Richardson (1689-1761) a Laurence Sterne (1713-1768), da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) a Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832).
Evitiamo, in questa sede, di soffermarci sul problema della definizione e codificazione del genere “romanzo sentimentale”. Ci interessa, invece, accennare alle sue caratteristiche alle origini.
Il “romanzo sentimentale” nasce in Inghilterra nel secondo Settecento, e l’autore di riferimento è Richardson. Richardson, come abbiamo visto altrove, ha avuto enorme successo di vendite con opere scritte in forma epistolare e del genere “sentimentale”. Due titoli su tutti: Pamela, o la virtù premiata (1840) e Clarissa (1748).
Laura Di Michele esemplifica alcune delle caratteristiche del “romanzo sentimentale” inglese che, come possiamo vedere, non sono così distanti dal “romanzo rosa”:
“L’innocenza perseguitata, la virtù ricompensata, la lagrimetta ristoratrice, l’ineffabilità del feeling, le strazianti peregrinazioni delle figure in black, il sorriso tremulo, a metà tra il pianto e il riso, ne sono gli indispensabili ingredienti”.
(Laura Di Michele, “Maschere” e “Prigioni” del romanzo sentimentale in Inghilterra, in AA.VV., Il romanzo sentimentale (1740-1814), Edizioni Studio Tesi, 1990, p. 31.)
Di Michele, subito dopo, sottolinea un altro elemento in comune con il “rosa”: la partecipazione emotiva dei lettori. È richiesta, inoltre, una gran quantità di ostacoli che i protagonisti devono affrontare per raggiungere, eventualmente ma non necessariamente, i loro obiettivi.
Le donne e la lettura
Umberto Eco (1932-2016), in Tre donne intorno al cor, fa un cenno sul rapporto tra donne e lettura. Il saggio è contenuto in U. Eco, M. Federzoni, I. Pezzini, M.P. Pozzato, Invernizio Serao Liala (La Nuova Italia, 1979).
Eco ricorda che il romanzo, alle origini, è destinato a donne e domestiche. Il rapporto stretto tra donne e romanzo rimane nel corso del tempo. Come è noto, la donna che legge ha il suo spazio privilegiato. Si tratta di quello spazio domestico in cui per secoli è stata relegata.
Partendo anche da questa limitazione spaziale, Roccella avanza un’ipotesi fondata sulle condizioni cui è stato costretto il sesso femminile: il “romanzo rosa” risponde a un bisogno legato alla repressione sessuale. In questo genere di romanzo la donna ha trovato e forse trova ancora una valvola di sfogo.
Il “romanzo rosa” e il “desiderio” femminile
Abbiamo detto che il “romanzo rosa” è una valvola di sfogo per la donna-lettrice che, storicamente, a lungo è stata sessualmente repressa. Ci soffermiamo, qui, sul concetto di “desiderio”.
L’uomo non ha avuto bisogno che venisse prodotto un genere di romanzo simile per un motivo ovvio: il suo “desiderio sessuale” è sempre stato accettato.
Al contrario, il “desiderio sessuale” della donna è sempre stato represso, nascosto, rifiutato. Il “romanzo rosa”, quindi, ha svolto un compito molto importante: ha mostrato alla donna ciò che le era celato, ha fornito risposte a dubbi e domande che non poteva manifestare. La donna ha potuto trovare nella letteratura ciò che le mancava.
I personaggi femminili
Il ruolo della donna nella società ha trovato il suo corrispettivo nella letteratura occidentale. La caratterizzazione e la rappresentazione dei personaggi femminili ha risentito della condizione femminile.
Gran parte dei personaggi femminili non hanno potere, né spirito di iniziativa. Le donne, in letteratura, sono assoggettate all’uomo. Ci sono diversi casi in cui i personaggi femminili esercitano un potere, un ascendente su quelli maschili. Ma sono casi che potremmo considerare “sovversivi”: la donna non rispetta i limiti imposti dalla società, e ciò ha spesso conseguenze negative. Nella letteratura come nella realtà, la donna è “oggetto”, è subordinata al desiderio maschile, al potere maschile. Eventuali tentativi da parte dei personaggi femminili di non rispettare il ruolo e le condizioni imposte dalla società, finiscono male.
L’archetipo del “romanzo rosa”: Cenerentola
Il concetto di “archetipo” ci è noto soprattutto attraverso la psicologia di Carl Gustav Jung (1875-1961). Per Jung esso è un’immagine primordiale presente nell’inconscio dell’uomo e, diversamente, la facoltà della psiche di evocare quell’immagine.
Questo concetto, come abbiamo già visto quando abbiamo parlato de Il viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler, ha avuto grande successo in narratologia. La narratologia è la materia che studia metodi e tecniche della scrittura. In narratologia, l’archetipo è la funzione che svolge un personaggio in una storia ed è la personificazione di determinate qualità umane.
L’archetipo del “romanzo rosa” è il personaggio di Cenerentola.
Cenerentola ci è nota attraverso le opere di diversi autori: Giambattista Basile (1566-1632), Charles Perrault (1628-1703) e i fratelli Jacob Ludwig (1785-1863) e Wilhelm Karl Grimm (1786-1859). La versione cinematografica prodotta da Walt Disney è basata sulla fiaba Cenerentola di Perrault.
Elenchiamo le peculiarità dell’archetipo di Cenerentola trasmesse anche al “romanzo rosa”:
– il potere della donna è la seduzione, strettamente legata alla bellezza: nella fiaba è l’elemento principale che spinge il principe a cercarla, ad agire;
– elementi tipici: orfana infelice, rivali malvagie, principe azzurro, prova da affrontare, matrimonio;
– la donna deve meritare il suo premio attraverso un comportamento virtuoso.
Loveworld: il mondo dell’amore
Il “romanzo rosa” rappresenta un mondo preciso: il loveworld, cioè il “mondo dell’amore”.
Si tratta di un mondo in cui l’amore è onnipresente e, dopo una serie di peripezie, è destinato a trionfare, in cui l’erotismo femminile è finalmente accettato. È un altro mondo rispetto al mondo reale.
La donna-lettrice può immergersi nel “mondo dell’amore” e così dimenticare quanto vive nel mondo reale. Le consumatrici di questo prodotto editoriale, come abbiamo già detto, vivevano una realtà che non badava ai loro bisogni, alle loro esigenze, né rispettava la loro identità. Da questo punto di vista il “mondo dell’amore” può essere considerato alla stregua di un “mondo alla rovescia”. In fondo ne ha alcune caratteristiche: le consuetudini e le norme sociali, nel “mondo dell’amore”, sono rifiutate, o sfidate con successo, l’esito finale è il trionfo dell’amore.
L’iniziatrice del “romanzo rosa”: Liala
Possiamo dire che il “romanzo rosa” così come lo conosciamo sia iniziato con Liala.
Liala è lo pseudonimo che ha coniato Gabriele D’Annunzio (1863-1938) per Amalia Liana Negretti Odescalchi (1897-1995). Ha cominciato a scrivere nel 1931, in seguito alla morte del suo grande amore, il marchese Vittorio Centurione Scotto (1900-1926), precipitato da un idrovolante. Il suo primo romanzo è Signorsì, viene pubblicato da Mondadori. Da allora Liala ha scritto oltre settanta romanzi e ha venduto milioni di copie in tutto il mondo.
Liala, per come ha strutturato i suoi romanzi, involontariamente ha codificato il genere rosa. Si tratta di una forma fissa, senza variazioni, che viene ripresa non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti.
Roccella attribuisce a Liala il merito di avere operato una vera e propria rivoluzione:
“Solo un romanzo che riproducesse narrativamente la qualità del sogno e del fantasma poteva interrompere la devastante catena di disgrazie, impossibilità, divieti e censure in cui le donne incorrevano nello sforzo di modificare il proprio ruolo.”
(Eugenia Roccella, La letteratura rosa, Editori Riuniti, 1998, p. 22.)