Tutti hanno notato che le domande e le esclamazioni sono precedute da segni come ¿ e ¡, un uso poco diffuso nel resto del mondo e del resto in calo nella stessa Spagna. Forse è tempo di voltare pagina
Non è l’unica lingua a farlo, ma quasi. Lo spagnolo ha, tra le sue regole, quella di mettere punti esclamativi e di domanda (ma rovesciati) anche all’inizio della frase. Una frase del tipo Come stai? Diventerebbe, in italiano, ¿Come stai?, con effetti un po’ disorientanti, ma nemmeno troppo.
La regola è antica: vennero consigliati dalla Real Academia Española nel 1754 nel suo prontuario di ortografia del castigliano, ma entrarono nell’uso dopo molto tempo. E, a dire la verità, non sembra che abbiano intenzione di resistere ancora a lungo: sono sempre di meno le situazioni in cui le persone rinunciano alla punteggiatura invertita, a partire dalle chat sui social.
L’idea originaria, poi, è stata tradita fin dall’inizio. Nel 1668 il filosofo inglese John Wilkins aveva proposto di usare il segno esclamativo invertito (questo: ¡) per le frasi ironiche – a quanto sembra, nemmeno all’epoca chi leggeva riusciva sempre a coglierla – ma il suo suggerimento rimase inascoltato. Gli spagnoli decisero, nemmeno fosse un linguaggio di programmazione, di riprenderlo e metterlo all’inizio di frase esclamativa. Così come il punto di domanda rovesciato sarebbe stato a inizio di frase interrogativa.
Secondo alcuni renderebbe più semplice la lettura (“Così capisco prima che è una domanda, o un’esclamazione”, dicono), ma la verità è che si tratta di un orpello inutile. Tutti i lettori del mondo sono in grado di capire il senso e l’intonazione di una frase senza avere una marca iniziale. Tanto è vero che oltre allo spagnolo usano questi segni solo lingue che hanno legami culturali con la Spagna: cioè il Galiziano (ma hanno cambiato anche loro), il Catalano (con alcune eccezioni) e il Waray (che parlano nelle Filippine).
E poi gli spagnoli stessi, a partire da alcuni sudamericani come Pablo Neruda, si stanno via via allontanando dall’uso. Perché il progresso, arrivato alla fine anche laggiù, è anche questo.