Bukowski è la sua letteratura: il sogno americano con un finale marcio

Il primo (e per ora unico) laboratorio di scrittura che ho tenuto l’ho iniziato con la lettura della poesia E così vorresti fare lo scrittore di Charles Bukowski in cui l’autore invita le persone a non scrivere, ma uscire a divertirsi. Se devi sederti davanti al foglio bianco e pensare “oggi cosa diavolo potrei scrivere?” non farlo, esci, cerca l’amore o una bottiglia di whisky, ma non stare lì a meditare sul foglio bianco. La lezione si è svolta a fine febbraio 2020, la settimana dopo è partito il lockdown e del laboratorio non se n’è fatto più niente. Il monito di Bukowski era stato rispettato.

Il 16 agosto avrebbe il vecchio Hank – come lo chiamavano gli amici – compiuto cento anni il più influente e trasgressivo scrittore americano degli anni ’70. Con sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie ha creato attorno alla sua figura un’aura leggendaria fatta di alcol, macchina da scrivere, corse ai cavalli, vita dissoluta e storia realistiche e assurde al tempo stesso.

Dopo le poesie degli anni ’60 giunse alla ribalta con due libri: Taccuino di un vecchio sporcaccione, raccolta di racconti del ’69 e Post Office del ’71. Al centro della sua migliore produzione c’è sempre e solo una cosa: la sua vita. Le sue molte donne, i soldi vinti e persi nelle scommesse, e una grande sfida esistenziale: “Qualsiasi coglione sa sopravvivere trovandosi un lavoro, solo i migliori riescono a farlo senza lavorare”.

Bukowski e la sua letteratura non sono scindibili. Lui è la sua stessa opera, un inno al crollo del sogno americano incarnato in vecchio alcolizzato, una sorta di finale marcio di quello che erano stati i poeti trasgressivi della beat generation che lo avevano preceduto di una decina di anni. Oggi è l’autore più citato, al pari forse solo di Oscar Wilde, proprio per quel suo talento dissacrante, ironico e caustico di riuscire a racchiudere in poche parole una sentenza definitiva, come: “Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre” o “Tutti i vicini pensano che noi siamo strani. E noi pensiamo lo stesso di loro. E facciamo tutti centro” o ancora “La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non devi pagare il biglietto”.

Sudicio, sboccato, maschilista, cinico, sbagliato e malinconico, Bukowski ha un solo grande limite: ha generato un mito talmente forte da creare centinaia di indegni emuli. Il suo stile è diventato una moda, ma non tutti possono indossare i vestiti di un altro senza sembrare ridicoli. Oltre ai suoi molti libri sono uscite anche due belle graphic novel sulla sua vita, una, di qualche anno fa, è Goodbye Bukowski (coconino) del ravennate Flavio Montelli, l’altra appena uscita si intitola Bukowski (Liscianilibri) di Alessio Romano e Roger Angeles.

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