la traduzione dell’8 novembreUna rinata repubblica delle lettere

Luigi Miraglia giovedì 22 novembre 2018

Moltissimi di coloro che han riflettuto non superficialmente sulla nostra epoca si sono accorti che non solo la società umana, ma anche i singoli si stan tristemente trasformando e in maniera funesta: è sufficiente qui fare i nomi di Günther Anders, Erich Kahler, Hans-Georg Gadamer, Pierre Bourdieu, Paul Virilio, Zygmunt Bauman; i quali, ciascuno a suo modo, ci hanno ammonito della necessità di prevenire, con l’educazione, con l’istruzione, con la cultura, una ricaduta in quelle età in cui, come dice Cicerone, «gli uomini vagavano nei campi qua e là come le bestie e tiravano avanti la vita per sé con un genere d’esistenza feroce, e non amministravano nulla con criteri razionali, ma trattavano la maggior parte delle cose con le sole forze del corpo» e «a causa dell’errore e dell’ignoranza, la bramosia, cieca e temeraria dominatrice dell’animo, usava perversamente le forze fisiche, perniciosissime guardie poste a sua difesa» ( CIC. De inv. 1, 2). Infatti, per testimonianza di Platone, quando tali bramosie s’alimentano negli animi a causa d’un’insipiente educazione, allora si moltiplicano facilmente; finché s’impadroniscono dell’acropoli dell’animo giovanile, che sorprendono vuota di discipline e studi onesti e pensieri veraci; dottrine, studi e pensieri che sono vigili e ottimi custodi e difese negli animi degli uomini amati dagli dei (Plat. De re publica 560b).
Questo è il motivo per cui uomini della nostra epoca, dotati di egregia cultura, dediti agli studi, e che meditano con assiduità sul destino di noi tutti e della condizione nella quale siamo nati, cultori d’oneste discipline di gran nome, studiosi di squisita letteratura, filosofi, storici, maestri di materie assai serie, ricercatori nel campo delle scienze, e infine giurisperiti si son riuniti per dar vita, a Tuscolo, dove un tempo fu una villa e un amenissimo possedimento di Cicerone, ad una rinnovata repubblica delle lettere. Non sfugge loro infatti che senza un veemente impulso, col quale si stimolino e si scuotano gl’inerti, si sbaraglino i malignamente ostinati, si sveglino e s’accendano d’ardore i più alacri, non è possibile indurre coloro che professano pubblicamente gli studi e le arti e nelle cui mani risiede il destino della nostra cultura a valutare quanto sia importante salvare dalla turpe negligenza in cui versa questo strumento appartenente a tutti i popoli, grazie al quale si superano i tempi, per non parlare delle distanze; senza di esso presso di noi, che abitiamo nelle terre d’occidente, non ci sarà più una memoria storica; cancellata la quale, interrotto ogni dialogo coi nostri antenati, non resta altro se non un oblìo di tutto il passato, una barbarie, una bestiale disumanità.

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